
Soltanto “manifestazioni di
simpatia per l’Isis in un periodo in cui combatteva contro Assad
in Siria e in Iraq per riscattare le masse disagiate”, ma poi
quando ha capito “che lo Stato islamico era quello che era” si è “dissociato”. Così Mohamed Nosair, 49 anni egiziano con permesso
di soggiorno, sulla stessa linea dell’altro arrestato, Alaa
Refaei, si è difeso oggi pomeriggio, davanti al gip di Milano
Fabrizio Filice, dall’accusa di associazione con finalità di
terrorismo e istigazione a delinquere.
Entrambi, secondo le indagini della Digos e della Polizia
postale, coordinate dal procuratore Marcello Viola e dal pm
Alessandro Gobbis, avrebbero portato avanti su gruppi Facebook,
Telegram e WhatsApp “una consapevole e deliberata attività di
proselitismo via social a favore dell’Isis”, oltre che
finanziamenti per donne vedove di combattenti jihadisti.
Nosair, assistito dall’avvocato Massimo Lanteri e anche da un
interprete nell’interrogatorio, ha parlato pure di quei “1000
euro in tranche da 50-20 euro” che ha inviato a donne “in
Palestina e Yemen”. Donne da cui, ha sostenuto, riceveva “videomessaggi sulle loro condizioni disagiate” e che lui quindi
avrebbe deciso di aiutare, “facendo del bene”. Ha pianto più
volte davanti al giudice e, quando gli è stata contestata
un’intercettazione in cui parlava di “sparare” – ha spiegato il
difensore – l’uomo ha detto che “era il 31 dicembre e parlavano
di fuochi d’artificio”.
La difesa ha presentato istanza al gip di revoca della misura
cautelare, eseguita due giorni fa, e in subordine ha chiesto i
domiciliari. Per il legale non ci sono gli estremi giuridici,
stando a giurisprudenza della Cassazione, per contestare
l’associazione con finalità di terrorismo e, al massimo, si
potrebbe contestare l’apologia di reato.
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Fonte Ansa.it